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Il cyber futuro digitale di Electric Dreams

Nei primi anni duemila il successo attuale delle serie TV era ancora di là da venire e la fantascienza trovava spazio – oltre che nei libri e nei fumetti – nelle produzione hollywoodiane, quelle di maggior successo. A dominare la trama e le idee di questi prodotti per il grande schermo era un autore incontrastato sognatore di futuri distopici.

Philip Kindred Dick è un nome che gli appassionati di fantascienza conoscono bene. Tra romanzi e racconti ha prodotto oltre cento opere, un patrimonio immenso di suggestioni, trame, idee che sceneggiatori e registi hanno saccheggiato e prodotto con risultati altalenanti. Se Philip Dick sia o meno da annoverare tra i grandi della letteratura è dibattito puramente accademico. Le sue idee hanno modellato un futuro ben più aderente al nostro di quanto non lo siano state le distopie inquietanti di Orwell e del suo 1984.

I sogni elettrici di Philip Dick, le sue riflessioni filosofico esistenziali su ciò che possiamo definire umano e una realtà virtuale così potente da essere indistinguibile da quella reale sono i temi affrontati nei dieci episodi andati in onda sulla piattaforma a pagamento Amazon Prime Video. Un asso calato dal gigante statunitense che ha voluto con questa produzione mettersi al passo con il suo maggior competitor, Netflix, che nel novembre dello scorso anno ha prodotto e distribuito Altered Carbon, serie TV adattamento del romanzo cyberpunk Bad City di Richard Morgan.

I racconti da cui sono stati tratti i dieci episodi risalgono al periodo di maggiore prolificità dell’autore statunitense. Scritti tra il ‘53 e il ‘56 mettono in scena un mondo, quello della cara vecchia Terra così denso di riferimenti ai dubbi e alle inquietudini della modernità che si fa davvero fatica a pensare che siano stati scritti oltre settanta anni fa. Forse più che con Orwell di 1984 o con Asimov il confronto più azzeccato sarebbe da ricercarsi in autori come Jules Verne o Arthur C. Clarke capaci di anticipare il futuro che sarebbe poi arrivato. In questi episodi tratti dai racconti di Philip Dick ciò che più colpisce sono le idee che ne stanno alla base e le riflessioni che da queste idee si sviluppano.

Il cyborg, l’androide indistinguibile dall’essere umano è tema caro alla narrativa dickiana tanto che una delle trasposizioni cinematografiche di maggior successo è stata proprio Blade Runner, tratto dal romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep?. I sogni elettrici ritornano nell’episodio dal titolo Autofac dove (attenzione spoiler) gli abitanti di una cittadina post apocalittica non sono altro che androidi, capaci di sognare, emozionarsi e combattere tanto quanto gli esseri umani. E allora cosa li distingue da noi? È questo il punto di forza di Dick. La sua capacità di affrontare temi fondamentali dell’esistenza umana collocandoli in un ambiente alieno e lontano da noi per meglio farceli vedere.

In Real Life abbiamo un anticipo di un gioco basato sulla realtà virtuale su modello di quello che attualmente stanno sperimentando piattaforme online di intrattenimento e gaming come PokerStars Casino. Nel caso del colosso del gaming online si tratta di giochi dal vivo a cui si accede con un semplice click dalla nostra tastiera per interagire con croupier professionisti reali. In Real Life la protagonista entra invece nello spazio virtuale indossando un casco e da quel momento in poi la realtà diventerà indistinguibile dalla sua versione digitale. Spetterà alla protagonista e al suo alter ego virtuale capire chi tra loro sia reale.

Perché il punto è proprio questo. Cosa ci rende umani e cosa ci differenzia da un avatar digitale? E ancora cosa rende un cyborg dotato di coscienza ed emozioni diverso da un essere umano? Lo è davvero, oppure si tratta semplicemente di ridefinire i nostri parametri su ciò che possiamo definire umano? Le domande, queste domande fanno da perno centrale su cui ruota la narrativa di Philip Dick e su cui gli autori degli episodi di Electric Dreams hanno sviluppato le loro trame.